Nonostante siano passati decenni dalla pubblicazione di ‘Organic Anti-Beat Box Band’, i Red Hot Chili Peppers incarnano ancora la dicotomia hollywoodiana tra radiosa solarità e losca decadenza descritta nella loro canzone manifesto del 1987. I due opposti si incontrano fin da subito nel sound che il cantante Anthony Kiedis e soci sintetizzano all’inizio degli anni ’80, unendo la furia punk dei Black Flag e il lussurioso funk dei Parliament. Trainata dal belligerante slap del bassista Michael “Flea” Balzary e sull’onda di uno spirito goliardico estremo, la band supera il lutto per la scomparsa di Hillel Slovak e l’abbandono di Jack Irons grazie ai provvidenziali ingressi del geniale John Frusciante alla chitarra e dell’implacabile Chad Smith alla batteria: in questa formazione, tra il 1989 e il 1991, il quartetto dà alle stampe due capisaldi alternativi come Mother’s Milk e Blood Sugar Sex Magik, muscolari ordigni all’incrocio tra groove, rock e rap, dove emerge tuttavia anche un lato più malinconico ed emozionale. Uscito dall’organico e sostituito da Dave Navarro, Frusciante riprende il suo posto in chiusura di millennio per partecipare a Californication, clamoroso successo in cui un sofisticato velo pop si posa sulla formula iper-ritmica della band. Gli allontanamenti e i rientri del chitarrista, specializzato in auto-esili e ritorni trionfali, sono diventati un tratto distintivo del gruppo, puntualmente disposto a riaccoglierne l’avanguardistica espressività, come successo, ancora una volta, dopo una lunga parentesi in cui i losangelini si sono avvalsi dei talenti chitarristici di Josh Klinghoffer, con cui hanno pubblicato due album discretamente accolti da critica e pubblico come I’m With You e The Getaway.