Il marito di Elena Il marito di Elena

Il marito di Elena

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Descrizione dell’editore

Giovanni Verga è lo scrittore italiano considerato come il maggior esponente della corrente letteraria del verismo.
Cesare Dorello è un giovane buono e studioso rimasto orfano di padre che studia legge all'università di Napoli con l'aiuto finanziario di don Anselmo, lo zio sacerdote. Cesare conosce Elena, figlia di don Liborio un ex cancelliere presso i Borboni, se ne innamora e, conseguita la laurea, inizia a frequentare la casa della giovane. Deciso a sposare Elena, chiede la sua mano ai genitori che però, vista la sua precaria situazione economica, si oppongono al matrimonio. I due giovani decidono quindi di fuggire ma, incontrate subito le prime difficoltà, si rifugiano per un po' di tempo presso la casa dello zio canonico e, dopo essersi sposati vanno a vivere nel paese natale di Cesare. Ma Elena, che ha un carattere frivolo e ambizioso, abituata com'era ad una vita mondana e raffinata, male si adatta alla vita modesta e provinciale che ora deve condurre e inizia a diventare irrequieta e depressa.

GENERE
Narrativa e letteratura
PUBBLICATO
2011
15 maggio
LINGUA
IT
Italiano
PAGINE
100
EDITORE
Scrivere
DIMENSIONE
352,9
KB

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MA69RIO ,

Il marito di Elena - G. Verga

Nel 1882, Verga sceglie Altavilla per raccontare la storia del "Vinti".

Siamo agli albori della rivoluzione industriale dello zolfo, in un paese a vocazione prevalentemente agricola, quando "il verista" tenta di dimostrare come non sia possibile che un personaggio di umili origini, in qualche modo, per quanto esso valga, possa riemergere da quella condizione in cui è nato. Non è possibile che un povero diventi ricco! Anche giunto a una condizione relativamente benestante, o quanto meno comoda, il personaggio non potrà mai vivere tranquillamente, non potrà mai integrarsi in quello che si definisce l'ambiente alto-borghese, proprio perché egli non vi appartiene di nascita.

Questo principio triste e sconsolante trova conferma in una rappresentazione che ha come protagonista un giovane avvocato di Altavilla, Cesare Dovello, nome di fantasia ma forse non troppo visto che ai tempi di questa ambientazione in paese risuonavano le gesta forensi dell'avv. Cesare Caruso, principe del foro di Napoli.

In questa opera non ritroviamo la questione della situazione meridionale, dunque, dei costumi e delle usanze, del modo di vivere assai diverso rispetto a quelli del nord Italia ma un vero e proprio, inalterato, modello rusticano e di provincia che sfida i cambiamenti dei salotti ottocenteschi della Napoli bene.

Tutto questo mentre, i versi del romanzo, ci trasportano, con la magistrale capacità narrativa di un grande, in un mondo di cui sopravvivono forti radicamenti oltre all'eco dei racconti di ricordi sbiaditi e foto ingiallite.

"... la pace inalterabile del paesello in cui i ferri di una cavalcatura e gli stivali dei contadini che risuonavano a rari intervalli sul selciato delle stradaccie...
.... nelle tranquille passeggiate, mentre il tramonto si stendeva come una nebbia nella valle sottoposta, quando i lumi s'accendevano smorti ad uno ad uno sulle facciate vaghe delle case, lungo la stradicciuola tortuosa, pensava all'avemmaria che cadeva mesta dall'alto del campanile
....all'ora dei vespri, per incontrare la mamma in chiesa.
Là, nella penombra della navata, resa più triste dal lumicino che ammiccava davanti all'altare e dalle lunghe tende violette che chiudevano le arcate, egli vide la sua vecchiarella curva sull'inginocchiatoio, e che pregava certamente il Signore anche per lui. La poveretta piangeva e rideva di gioia nel rivedere il figliuolo, e si stringeva il suo capo sul petto scarno, dinanzi agli occhi della Madonna, che è madre anche lei....
Il tramonto, scintillante sui vetri come una gloria, riempiva ancora di luce la volta della chiesa alta e sonora".

Sono queste parole che conquistano l'attenzione di chi ne percepisce l'ambientazione. Magicamente, si ci ritrova in un'altra dimensione dove il protagonista viene travolto dargli eventi sebbene con la naturalezza e l'orgoglio di appartenere ad un popolo dignitoso e laborioso.
Sembra di essere lì, presenti, "colle mani dietro la schiena, accompagnandosi ai contadini che tornavano in paese spingendo innanzi l'asino o la mula carichi, mentre tutte le campane suonavano l'avemaria, nel paesetto aggruppato come un branco di pecore, sotto il cielo smorto".

E sono queste le radici della comunità della "gente senza storia" che non finisce mai di stupire per l'energia che tracima dal proprio passato e che dispensa speranza tra nostalgia e orgoglio di un trascorso che dimostra di avere pur sempre la sua di storia, a tratti, "Vittoriosa" per la beltà dei luoghi e per la natura dei suoi sentimenti più veri.
Mario Vanni - Sindaco di Altavilla Irpina

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