Il biglietto in bacheca di un batterista può servire a trovare musicisti, fondare una band e conquistare il mondo? Gli U2 (Larry Mullen Jr., The Edge, Adam Clayton e Bono) ne sono la prova vivente, grazie a tutta la strada percorsa da quella Dublino del 1976 per accompagnare sogni e ideali con il linguaggio del rock. Gli irlandesi sanno mescolare lo slancio utopico dei Clash al magnetismo dei Beatles, e dopo il debutto del 1980 mostrano il campionario della loro potenza nel terzo album War (1983). I lamenti urlati da Bono si fanno vangelo alt-rock per legioni di fan, uniti dalla rabbia di ‘Sunday Bloody Sunday’ e dall’urgenza di diritti civili impressa nell’etere da ‘Pride (In the Name of Love)’, con Brian Eno e Daniel Lanois alla regia. Tre anni dopo The Unforgettable Fire (1984), il genio dei due produttori contribuisce alla pietra miliare The Joshua Tree, vero e proprio libro di testo per ritmo e ballad elettriche eterne come ‘With or Without You’. La trasformazione del gruppo è compiuta e nulla è a loro precluso, tantomeno giocare a sperimentare tra i muri dello studio nella Berlino appena riunita di Achtung Baby, che include un vero e proprio inno generazionale del calibro di ‘One’, o nel successivo Zooropa (1993). Questi dischi in qualche modo chiudono la fase più sperimentale degli irlandesi, introducono un lavoro, ‘Pop’, che suona come una dichiarazione d’intenti e aprono la strada alla produzione del terzo millennio, che parte con un parziale ritorno alle origini (All That You Can’t Leave Behind), prosegue tra impegno sociale e collaborazioni eclettiche e non manca di stabilire nuovi record: Songs of Innocence (2014) è stato reso disponibile gratuitamente a 500 milioni di utenti dell’iTunes Store (Tim Cook definì l’operazione come la più grande uscita discografica della storia), mentre il successivo Songs of Experience (2017) entra direttamente al numero uno della Billboard 200 e rende gli U2 l’unico gruppo della storia ad aver raggiunto la vetta della classifica in 4 decenni differenti.